30 Aprile 2007
"vivere oltre"
Di Michele Caporale
Abbiamo suscitato un vivo interesse in una commissione stupidamente scettica e
visibilmente"piccola"....all'inizio.
Poi Vasco ha compiuto il solito miracolo ,"testimoniato"dal trasporto che ho spudoratamente e con orgoglio "sbattuto" davanti alla loro....Miopia.Un successo che mi ha stupito,una gioia che voglio condividere con voi perchè sia piena.
Ecco alcuni estratti...
Michele C.
il desiderio di vivere -oltre, sopra, adesso- una vita che �..� un brivido che vola via, � tutto un equilibrio sopra la follia� : enigma insoluto lasciato al suo mistero nella fervente attesa dell�evento- avvento di se stessi.
�(...) voglio una vita maleducata!/di quelle vite fatte, fatte cos�!/ voglio una vita che se ne frega/
che se ne frega di tutto si!/ voglio una vita che non � mai tardi,/ di quelle che non dormono
mai../voglio una vita.. di quelle che non si sa mai! (...)/ Voglio una vita spericolata/ voglio una vita
come quelle dei film../ voglio una vita esagerata/ voglio una vita come Steve McQueen../ voglio una
vita che non � mai tardi/ di quelle che non dormi mai/ voglio una vita/ la voglio piena di guai!/ (...)
Voglio una vita.. vedrai che vita, vedrai� . Come potrebbe essere resa pi� chiaramente l�impaziente
bramosia del vivere ex-sistendo? L�estremo abbraccio di Vasco ad ogni paradossale eccesso, pur di
rendere realmente viva la sbiadita immagine che appare di s�, � disperato; egli � quanto mai risoluto
nel pretendere la reificazione di sogni agognati ma sempre traditi dall�illusoriet� che la �mediocritas
vitae� impone loro; � disposto ad ogni caduta, ad ogni pericolo pur di uscire dallo stretto ambito di
un �vivi nascosto� dainichilistici sbocchi, pur di rendere libero l�animo dal giogo della noia.
Non � un �flatus vocis� che stuzzica velleitari propositi, ma � un urlo dirompente che scuote i
torpori dell�ovvio, innalza il suo vessillo, si scaglia contro quella realt� che non appartiene
all�artista e che lo vuole sconfitto da se stesso. Una pro-vocazione vibrante verso gli spiriti
intorpiditi dalla consuetudine del �non ancora�, dalla sicurezza del �giammai�, un autoritratto delle
pi� vere aspirazioni che riflettono la volont� di sopprimersi come materia immobile destinata a
nullificarsi, per ri-nascere come energia oltrepassante il significarci �indistinto� dal tedio, per
sorridere all�epifania del ri-conoscersi �determinati e significati� da quella forza capace di
smascherare le bugie sul nostro conto.
L�insistente invito vaschiano a godere, a provare sensazioni sempre pi� forti, � riconducibile,
peraltro, al dionisiaco impulso alla vita che Nietzsche ha identificato, nella interpretazione
complessiva del mondo greco, con l�affermazione entusiastica della vita stessa, intesa come
esplosione di istinti naturali: h�bris intensa e profonda, tesa ad andare oltre i limiti, senza inibizioni
e senza riserve, come accettazione incondizionata del divenire in tutte le sue forme, compresi gli
aspetti contraddittori e tragici della realt�; accettazione della gioia ed del dolore resa possibile in
virt� dell�energia creatrice, che nasce proprio come esigenza di superamento delle contraddizioni
stesse.
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La pienezza del vivere urlata da Vasco in maniera cos� fortemente perspicua anche sul piano delle
motivazioni esplicite, rimanda, implica il riferimento ovvio ed ineludibile ad una domanda
fondativa, originaria, anche se non dichiarata dall�artista e quindi, per cos� dire, sommersa;
domanda codificata linguisticamente da noi, attraverso l�impiego del registro espressivo
nietzscheano e, tuttavia, fedele alla rappresentazione del percorso psicologico e della problematica
esistenziale vaschiana.
La domanda � la seguente: chi sapr� restare �fedele alla terra� portando, cos�, a compimento la
propria natura attraverso un atto di volont� istituito dal soggetto stesso che, avvalendosi di tale forza
e con disposizione dionisiaca verso la vita, potr� aprire uno scenario storico nuovo, un nuovo
orizzonte entro il quale sciogliere le catene dell�ignoranza, del pregiudizio, dell�assedio di una
realt� ricca di forme inesauribili, irriducibile entro schemi univoci o rapporti lineari? Chi?
Nietzsche non ha dubbi:
�Il superuomo � il senso della terra�. E cos� prosegue: �Dica la vostra volont�: sia il superuomo il senso della terra!(...) Ecco io vi insegno il superuomo:
egli � il mare nel quale si pu� inabissare il vostro grande disprezzo. Qual � la massima esperienza che possiate vivere? L�ora del grande disprezzo. L�ora in cui vi prenda lo schifo anche per la vostra felicit� e cos� pure per la vostra ragione e la vostra virt�. (...) La grandezza dell�uomo � di essere un ponte e non uno scopo: nell�uomo si pu� amare che egli sia una transizione e un tramonto.
Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poich� essi sono una transizione.
Io amo gli uomini del grande disprezzo, perch� essi sono anche gli uomini della grande
venerazione e frecce che anelano all�altra riva. Io amo coloro che non aspettano di trovare una
ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bens� si sacrificano alla terra, perch�
un giorno la terra sia del superuomo�.
L�affermazione si inserisce nell�ambito della proposta nuova alla quale il filosofo non esiter� a
collegare i temi di fondo della sua visione �positiva� della vita: il tema del superuomo, appunto, la
morte di Dio, la volont� di potenza, l�eterno ritorno.
La vicinanza di Vasco a quei significati che pi� avvicinano il cantautore al modello di una umanit�
nuova proposto da Nietzsche, si pu� ritrovare nei tratti pi� singolari del concetto di superuomo;
tratti attraverso i quali � possibile ricostruire, al di l� delle precostituite ed appannate alterazioni
ideologiche, sicuramente favorite, a volte, dalle pur legittime difficolt� interpretative dei testi, la
parte pi� limpida dell�identikit di questa figura �il superuomo- cos� acriticamente esaltata o, al
contrario, tanto aprioristicamente vituperata, a motivo della sua spesso criptica o ambigua
rappresentazione. Ecco i caratteri pi� significativi dei menzionati tratti del super uomo per i quali �
possibile individuare una pi� o meno esplicita corrispondenza con il pensiero e l�esperienza di vita
espressa da Vasco nello svilupparsi, non proprio lineare ma sempre coerente, del grafico della sua
parabola esistenziale: il suo essere spirito libero, il suo senso critico ed ironico, la sua capacit�
creativa di pro-gettare, il coraggio e la responsabilit� delle sue scelte, la sensibilit� dionisiacamente
volta di affermare il suo �si� alla vita.
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Vasco, al di l� delle gi� sottolineate affermazioni riguardanti la necessit� di bere fino in fondo il
calice, anche amaro, della vita, sostiene che sprezzare il pericolo, sentire i guai come unico veicolo
di salvezza dall�indeterminatezza della propria condizione, costituisce il sostegno necessario a
travalicare gli angusti limiti di quest�ultima, affinch� il presente non sia soltanto ricordo o attesa di
un domani che dia luce, ma diventi �presente a se stesso�, in un iperbolico tentativo di rendere
�passato e futuro� proiezioni del presente stesso, il quale di-verte in tutti i non luoghi, per realizzarli
solo ed esclusivamente nell�attualit� del suo dis-correre.
La vita come un film: non una banale immagine tesa ad edulcorare la realt�, ma emblema di una
�ricerca� parossistica e paradossale perch� volta nella dis-abitabile u-topia dell�esistenza senza
interruzioni che solo un film pu� rappresentare con la sua assenza di tempi morti. Il film, dunque,
come simbolo di quella ricorrente rincorsa di Vasco verso la �voglia di io� con la quale riempire
l�ex-sistenza, voglia che consenta il superamento della condizione di in-autenticit� che rende l�io
spettatore insoddisfatto della vita stessa; l�io che si palesa come vero pro-getto che ingloba il
desiderio di vivere il presente e tendere al futuro, non perch� quest�ultimo si sovrapponga a quello,
ma per �abitare� nella situazione dell��essere sempre in viaggio�: per andare, come gi� detto, al di
l� di s�... con s�.
� importante comprendere questa cruciale tensione di Vasco; � qui che bisogna fermarsi ad
ascoltare la voce di chi vuole abitare il presente godendone appieno la sua inafferrabilit�, cercando,
nel futuro, la speranza che esso sia vissuto sempre come presente, per continuare a viverlo sempre
�come se fosse l�ultimo�. Utopia? Forse. Utopia come utopica � anche la condizione, sperata ma del tutto improbabile, del poter stare sempre svegli: �non dormire mai perch� non � mai tardi� � un altro modo per non provare quella terribile sensazione di �fine� che suscita la conclusione della
giornata, per non dover sopportare il ri-sveglio come un nuovo cominciamento.
La progressione filmica, il non dormire mai: espressioni dell�aspirazione ad un eterno ritornare; un
ritornare, tuttavia, carico di profonda nostalgia di auspicati... �incontri�.
� �(...) e poi ci troveremo come le star a bere del whisky al Roxybar oppure non ci incontreremo mai, ognuno a rincorrere i suoi guai, ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno in fondo perso per i fatti suoi� . Ritrovarsi in un presente senza limiti, senza confini, al di sopra della sottile linea che racchiude un�esistenza banalmente �fenomenica�, come la �star� che brilla in cielo �sovra- stando� il nostro sguardo, per vivere una vita nella dimensione che ora, poich� Kr�nos si � dileguato, ci appartiene davvero.
Il Roxybar come topos, come ideale di una condizione �reale� finalmente raggiunta, come lieto
epilogo di sforzi continui per sfuggire all�oblio impostoci, il non-luogo ancora pi� luogo dove
potersipercepire nella pienezza dell�essere se stessi. Roxybar come luogo ideale per la speranza di
un incontro, anch�esso ideale, ma voluto, cercato, forse solo sognato per la consapevolezza della
forza centrifuga che la vita ci impone, rendendoci erranti nel nostro cammino, �ognuno per i fatti
suoi�; incontro che sembra trascendere le nostre possibilit�, che pu� appartenere solo
all��imprevedibilit��ella vita stessa, la quale pu� sopportare solo la possibilit� del chiss�.
Anche se l�AUT introduce l�ipotesi pi� plausibile, meno lusinghiera, di un cammino ancora
impervio da percorrere, ancora alla scoperta del proprio sbocco -estuario fitto di imprevedibili
ostacoli-, la magia di de-scrivere l�errare umano schiarisce l�opaca immagine che nella vita
ciascuno ha dei propri incerti passi. Lo sguardo del pensiero non scorge alcuna verit� su ci� che
siamo, su ci� che vorremmo essere, anche se per dirla ancora con Nietzsche, �che qualcosa sia
ritenuto vero � necessario, non che qualcosa sia vero�.
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� lo svelarsi e rivelarsi di s� come soggetto che accoglie la convivenza di in-definite possibilit� sul
piano esistenziale: possibilit� ritenute incongruenti per quella riflessione teoretica che aspira a con-
clusivit� totalizzanti, ad organizzazioni sistematiche della realt�, ben compaginata nella pretesa di
costituire una �risposta� definitiva intorno alla domanda di �verit��.
� �Si pu� spegnere ogni tanto il pensiero?/ smettere almeno di crederci per davvero/ e non essere pi� schiavi per lo meno/ di un�idea come di un�altra, di un mistero/ sembra che non sia possibile
dimenticarsi di s�/ e giudicandoci ognuno con gli altri/ convincersi che/ se non lo sai/ buoni o
cattivi/ non � la fine/ prima c�� il giusto o sbagliato/ da sopportare/ Si pu� spegnere ogni tanto il
cervello?/ e smettere almeno di usare solo quello/ si pu� far finta che non ci sia niente/ anche
quando ti tremano le gambe/ (...) Buoni o cattivi/ non � la fine/ prima c�� il giusto o sbagliato/ da
sopportare/ ...che di per s� � maledetto/ perch� divide/ mentre qui tutto/ dovrebbe solo unire�. Ci
prova Vasco, si arma per poter combattere ogni sclerotizzazione del cogito che implica il rischio
reale del fraintendimento di s� e degli altri: il pensiero arriva a pretendere di �giustificare� la vita, di
spiegarla nelle sue contraddizioni e nelle sue articolate disarmonie, nella convinzione di poter
giungere comunque alla verit�. Vi �, in questo testo, l�esplicita presa di posizione vaschiana rispetto
alla pretesa di coloro che considerano il pensiero come l�unica attivit� dell�uomo capace non solo di
dare risposte a qualsivoglia questione, ma anche di darle in maniera conclusiva e definitiva.
L�assurdit� di tale pretesa consiste, tra l�altro, nel fatto che, secondo l�artista, diversi sono i modi di
cuil�uomo dispone per porsi di fronte al tentativo di comprensione della realt�; ragione per la quale
quest�ultima pu� essere spiegata variamente ed ancor pi� diversamente interpretata. Il �tremore
delle gambe� � proprio l�espressione con la quale si indica la reazione emotiva dell�io alle
inquietanti domande pro-vocate dalla realt�; reazione che si inserisce nel vasto campionario di
reazioni (razionali, sentimentali, emozionali, istintuali) di volta in volta sperimentate di fronte
all��impasse� delle risposte impossibili, a dimostrazione proprio della tesi sopra enunciata: l�uomo
dovrebbe inserirsi nel circuito della realt� circostante �con tutte le cautele, i dubbi, le incertezze-
utilizzando non un solo strumento decodificatore, poich� l�unicit� dello strumento rivela, oltre che
la pretesa assolutizzante del pensiero, anche l�indebita ed ingenerosa dimenticanza delle altre forme
di vita intellettiva, psichica, spirituale.
Vasco non ricorre a spiegazioni sul piano razionale, n� esige assoluzioni sul piano eticoper le sue e
le altrui scelte e per l�amara, consapevole riflessione sulla propria condizione di �gettatezza�.
La posizione vaschiana rispetto alla pretesa di verit� ancora una volta si incontra con il pensiero di
Kierkegaard e precisamente con la condanna kierkegaardiana del �sistema� espressa in quella acuta
ed illuminante accusa del filosofo danese per il quale �l�idea del sistema � l�identit� di soggetto e
oggetto, l�unit� del pensiero e dell�essere; l�esistenza �, invece, precisamente la separazione. Da
questo non segue affatto che l�esistenza sia sprovvista di pensiero, ma che essa pone l�intervallo e
distingue il soggetto dall�oggetto, il pensiero dall�essere�.
Vasco esprime la sua personale visione della soggettivit� come identificantesi con l�individuo
storicamente connotato, segnato e significato dalla situazione storica che lo espone alla tensione
verso la verit�; una verit� che, Kierkegaardianamente, � poi la soggettivit� stessa. Verit�, quindi,
che per Vasco non costituisce certamente l�esito di un pensiero innocente, oggettivo, ingabbiante la
complessit� della realt� in un ordine sistematico; al contrario, essa, per l�artista, si presenta
indiscutibilmente legata a convenzioni e a categorie determinate storicamente, oltre che
�compromessa� con le questioni indecidibili fino a diventare finzione che illude l�uomo nella sua
pretesa di controllare la realt� al fine di dominarla.
Il pensiero, inteso come attivit� dell�io che pretende di fagocitare l�oggetto giungendo, cos�, a
negarne l�autonomia e la forza, � chiaramente il paravento di una congiura ordita dall�io contro
l�altro; un io calcolante che quantifica e de-termina l�ob-jectum, l�altro-da-s�, riducendoloa mera
unit� concettuale, sganciato dal terreno esistenziale che gli � proprio, dove � la variet� (della realt�)
a produrre differenze non semplificabili attraverso un processo logico culminante nella
tranquillizzante illusione della stabilit� delle cose e della prevedibile regolarit� degli eventi.
� questa la ragione per la quale Vasco si chiede se si possa �spegnere il pensiero�; se si pu�
spegnere, cio�, per evitare che esso sia l�artefice della costruzione ideale di un mondo popolato solo
di essenze eterne da contrapporre alla sconcertante imprevedibilit� e alla inevitabile mutevolezza
dell�esistente.
Si pu� spegnere il pensiero per evitare la schiavit� derivante dalla assolutizzazione di un�idea, per
scongiurare la falsa convinzione che da un sistema ben determinato di �verit�� possa
conseguentemente derivare anche la possibilit� di giudizio morale, in virt� del facile ribaltamento
sul piano etico di quello che la verit� � sul piano teoretico-gnoseologico: un valore assoluto
attraverso il quale giudicare il bene o il male, il buono o il cattivo.
�In questo rifiuto di ogni forma di assolutizzazione dei vari aspetti della realt�, Vasco si ritrova
nuovamente con Nietzsche e non solo per la critica ad ogni pretesa di verit� e, come vedremo, per
quella prospettiva ermeneutica secondo cui non esiste nulla di stabilito e di definitivo poich� tutto �
frutto delle nostre interpretazioni, ma anche per ci� che riguarda il giudizio relativo alle azioni
morali che, per il filosofo, non possono essere n� conosciute, n� giudicate in maniera assoluta per
la limitatezza del soggetto conoscente e per la miriade di fattori che entrano in gioco e che
risultano inconoscibili. �
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La ricerca di quel �quiddam inexpletum� che rappresenta il raggio d�azione della noia imperante in
Ogni sospiro, � il polo su cui far ruotare la speranza del superamento di questo impasse, bench� egli
abbia gi� chiara l�insondabile profondit� di dissidi interiori, l�incolmabilit� di vuoti in cui lo spirito
rischia di inabissarsi. � un terreno sdrucciolevole, sul quale Vasco sa di poter cadere perch� ne ha
esperienza, ma che non lo ferma nella sua corsa verso l�ignoto, che lo spaventa e lo attrae insieme,
da cui vorrebbe rifuggire per poi subito tornare ad affrontarlo.
Una filosofia di vita che � �filosofia della noia�, di cui lo smarrimento � il riflesso pi� accecante, in
cui l�unica certezza � il dubbio, dove lo smembramento delle proprie percezioni � il nulla che
frammenta indefinitamente ogni simpatetico comprendersi; � anche, per�, l�humus fertile dove far
germogliare la volont� di volere se stessi oltre tale condizione, di ri-aversi come energia
autocomprensiva, nell�identit� diquell�ex-sistenza presente alla sua reale essenza, capace, perci� di
dissolvere il tedio che la adombra.
Un presente, beninteso, in cui gli opposti che collidono o convivono in una parossistica dis-
armonia, ceda il passo ad un presente in cui essi, gli opposti, si attraggano e si armonizzino cos�
come avviene nella �magia� delle canzoni. Impossibile scorgere, quindi, un senso che s-viluppi
l�intricato apparire di ogni fenomeno, che ne sia il fondamento, il fine, la fine. La musica � soltanto
un istante a-logico che porta �oltre� l�esserCi insoddisfatto, � il non luogo in cui il caos
dell�esistenza affievolisce il suo vigore; una terapia nel meta tempo che frena la �bestia� che Vasco
ha dentro, la sua parte oscura, irrazionale, la forza latente che sente in-accettabile questa condizione.
� una parentesi �divina�, la musica, un valido sostegno che non pu� raccogliere i cocci, per�, di uno
spirito sgretolato dal dardeggiare convulso della realt�, svilito nel ri-conoscersi bersaglio prescelto
dalla qui-presente noia.
Ecco, la noia, con tutto il suo indisgiungibile seguito di categorie esistenziali -angoscia,
disperazione, straniamento-�sembradissolversi�. Possibile? Di certo no: ma, nell�auspicato istante in
cui il pensiero in quanto tale, con tutto il suo peso �logico�, momentaneamente si eclissa, il
malessere insopportabile affida al suo canale di diffusione preferito, la musica, il compito di
giungere al di qua del fenomenizzarsi dell�inquietudine, all�origine del suo esplicitarsi..
� alla musica, dunque, che spetta il privilegio di rivelare nell�immediato la spinta volontaristica del
male oscuro, senza per� pretendere, schopenhauerianamente, di accedere alla presunta radice
noumenica della realt�. Essa, la musica, nutre il sentimento e consente allo stesso di scorgere
orizzonti altrimenti inesplorabili.
Musica come rivelazione, dunque: linguaggio comune, universale, capace di s-velare l�assurdo, di
ri-comporre i dissidi, i contrasti, quasi una sorta di progressiva, speciale teofania, attraverso la quale
l�incontro del �divino� diventa conquista dell�ineffabile, dell�inespresso, del non-detto. Sospensione pura, senza certezze ma anche senza mascheramenti; limbo senza ombre; �presente� che di continuo varia e mantiene accesa la tensione vitale; �gioco� che tiene in iscacco l�ombra della morte e la fossilizzazione della vita.
Musica come il presente: pausa, intervallo, spazio vuoto, vita che contempla se stessa, indefinibile.
Musica come tentativo di corrosione anarchica di ogni organizzazione gi� definita dell�esistenza,
come espressione pi� verosimile della categoria della �possibilit��, come disponibilit� alla ri-presa
continua, in una sorta di slancio senza sosta, di provocazione e inganno, di beffarde smentite e di
rincorse inappagate.
Musica come �correzione�, tutta �vaschiana�, dell�esistenza: non gi� per reinventare e risistemare la propria vita caotica e svanita nell�informe e darle, cos�, un ipotetico senso o comporla nella decenza di un �ordine�, ma per ripararsi dalle intemperie della realt� presente, rifugiandosi nello spazio dell�indecisione e della sospensione, attraverso l�oscillazione ironica e graffiante che impedisca all�io l�esperienza illusoria e stra-vagante di comporsi in una monolitica interezza e definitiva stabilit�. Nella musica, infatti, l�io stesso si risolve in un mobile campo di tensioni ed in questa mobilit� trova la sua identit� pi� vera.
Non si spegne, in Vasco, il desiderio incessante di scoprire il perch� di tanto soffrire, di capire chi o
cosa muove i fili del palcoscenico della vita; � desiderio struggente perch� recante in s� il sicuro
fallimento dei suoi propositi; � un tarlo che scava nell�animo di Vasco lasciandolo in preda ai suoi
dissidi interiori, al suo volersi staccare dalla realt� in cui egli vive, pur essendo legato alla sua
umanit� che lo de-finisce.
L�ironia amara e pungente nei confronti di facili approdi, spesso convenzionali, la dissacrazione di
�totem� posti al vertice di un sistema che non sussisterebbe senza di essi, sono armi che
smascherano l�inganno �umano troppo umano�che l�uomo tende a se stesso per �realizzare�
illusioni che lo sospendono nel mai certo, nell�in-concluso. � �(...) Metteteci Dio/ sul banco degli
imputati./ metteteci Dio!/ e giudicate anche lui.../ con noi!/ e difendetelo voi.../ buoni cristiani!/
Portatemi Dio,/ lo voglio vedere./ portatemi Dio/ gli devo parlare,/ gli voglio raccontare di una vita che ho vissuto e che/ non ho capito.../ a cosa � servito!?/ Che cosa � cambiato!?/ Anzi,/ adesso cosa ho guadagnato!?/ Adesso voglio esser pagato! (...)�.�
Rabbrividire per soluzioni semplicistiche di antropocentrica fattura � conseguenza della non
accettazione di comode soluzioni e di classificazioni banalizzanti la stessa idea di �infinito� che
l�animo pu� cullare nel suo intimo; � conseguenza del rifiuto di una morale ipocrita che giudica
senza appelli, che non concepisce �obliquit�� del sentire, ma vuole soltanto percorsi dipanati,
unilaterali verso quel dio che � �giudica e manda secondo ch�avvinghia�.
�Credere in Dio vuol dire in fondo possederlo, controllarlo�. Vasco dissente dal coro di chi
fantastica perfetti paradisi: �(...)C�� qualcosa.../ che non va.../ in questo cielo!/ C�� qualcuno.../
che non sa.../ pi� che ore sono!/ C�� chi dice qua.../ c�� chi dice l�.../ io non mi muovo!/ C�� chi
dice l�.../ c�� chi dice qua/ io non ci sono./ Tanta gente � convinta che ci sia nell�aldil�/ qualche
cosa, chiss�.../ quanta gente comunque ci sar�/ che si accontenter�!/ C�� qualcuno../ che non sa.../
pi� cos�� un uomo!/ C�� qualcuno../ che non ha../ rispetto per nessuno!/ C�� chi dice no... c�� chi
dice no, io non ci sono/ (...) io non mi muovo/ io non ci credo/ io sono un uomo (...)�.�
I guai causati a Vasco dai sarcasmi scomodi da lui adottati sono congruenti alla sua dis-
approvazione di un mosaico di incastri perfetti; ogni costruzione sistematica che tenti una
rappresentazione logica della realt� fin nei suoi minimi aspetti � rigettata senza esitazioni, alla luce
soprattutto dei vuoti, dei dubbi che lo lacerano, delle sofferenze che lo inseguono e che non si
risolvono in finalistiche �composizioni� nelle quali �essentia involvit existentiam�.
Il non concepire disegni fluidi e senza frizioni, il rifiuto della risoluzione dell�esistenza nel pensiero,
la non accettazione della conclusivit� dell�esistenza in un abbraccio totalizzante, comportano il
rischio, continuamente ri-vissuto, di patire contraddizioni incomprensibili, di porre complesse
questioni alla profondit� dell�io sempre alla ricerca di perch� insoluti, sempre immerso
nell�affannoso tentativo di superare se stesso, prigioniero del �male di vivere� mai voluto, ma
�realmente� carnefice ... senza volto. � �Io voglio lasciarmi andare, mi voglio far possedere, voglio
entrare con lui in contatto con l�universo�.
L�incomprensione della ragione del vivere � rabbiosamente espressa da Vasco con la paradossale
richiesta di �risarcimento� per il suo essere al mondo; paradossale per la dichiarata inesistenza
dell�eventuale pagatore, tanto che la pretesa di autorisarcimento diventer� l�unica proponibile sfida
non solo sul piano esistenziale, ma anche su quello deisignificati.
�Io non mi muovo�: � la riaffermazione della inamovibile coerente fermezza di Vasco, in
opposizione a coloro che, nel cedere alle innumerevoli lusinghe ed alle svariate sirene allettatrici,
sfuggono alla concretezza del vivere, non sanno collocarsi nella dimensione spazio-temporale, ossia
storica, nella quale tutti siamo posti.
� �C�� chi dice qua, c�� chi dice l�� �: non � un ritornello di una banale filastrocca; l�espressione
sottolinea, al contrario, l�insipienza di chi non riesce a darsi una direzione, a tracciare coordinate
stabili nella propria vita; direzione e coordinate che, senza rimandare, beninteso, a dimensioni
trascendenti, sono pur necessarie per vivere nell�agone quotidiano.
I toni apparentemente blasfemi non implicano n� sottintendono la negativit� di giudizio dell�artista
nei riguardi della credenza, potremmo dire della fede, in realt� ultraterrene; essi, piuttosto,
riguardano la presunzione di chi ritiene di possedere una verit� scevra da dubbi, capace di dare tutte
le spiegazioni, di appianare tutte le incertezze: una verit�, insomma, posta al di sopra della nostra
stessa vita e, proprio per questo, assolutamente inconfutabile.
�Io non mi muovo�:� l�affermazione fiera di chi ha compiuto una operazione culturale sicuramente
non definitiva sul piano teoretico; la fermezza espressa dall�artista nel ribadire la propria
convinzione circa l�improbabilit� di �cieli nuovi e terra nuova� assume, pertanto, un rilievo congruo
piuttosto sul piano esistenziale laddove l�artista continua ad esprimere l�esigenza di interrogarsi
ripetutamente intorno ad una questione sempre aperta.
Il continuo porsi interrogativi, tuttavia, non ha risposte definitive, perch� esse non appartengono
all�esserCi, privo com��, quest�ultimo, di sicurezze confortanti; ed il vagheggiare, pertanto, mete
improponibili, il volere vivere superando la schiavit� del nostro apparire fragile e dis-adattato
all�essenza del �ci�, � tanto agognato quanto deluso dalla certezza di non poter uscire dalla
prigionia della noia, che ci identifica come suoi servi e, di conseguenza, ci uniforma nel �si�
impersonale, omologazione forzosa del nostro essere. � naturale, dunque, che il collasso, dovuto
allo scontro di slanci e svilimenti, sia portatore di un rassegnata diffidenza nella pretesa di
ancoraggio alla prospettiva di una fine e di un fine che abbiano senso.
Il �fato regolatore� di questa esistenza � l�unica �entit� suprema� a cui Vasco sembra credere, non
come �motore immobile�che d� inizio al ciclico realizzarsi di paradossali situazioni, n� come un essere garante dell�incongruenza a cui l�uomo � chiamato per �esser provato� come ente degno
dell�infinito a cui abbandonarsi, ma come una sorta di panteistico�respiro dell�universo�, che
comprende ogni singolarit�, ogni imperscrutabile realt�: unione e disgregazione in-finita di energie
che hanno senso solo in quanto non concettualizzabili, che hanno nell�indicibile la loro identit� pi�
vera, che sono il riflesso e il contrasto l�una dell�altra. Una sorta di smaterializzazione che non
distingua uguaglianza e diversit�, che non applichi una formula unilaterale di senso, che non ne
giudichi univoco lo sviluppo, ma che sia fondamento infondato, quell� �energia del dis-senso� che
si nutre di ogni sua contraddittoria esplicazione, senza che lo scibile la riduca ad oggetto del proprio
fagocitare.
Il rischio � quello della pretesa dell�uomo di connettere ogni realt� che lo trascende alla sovrana
regia di un �senso� che ne presieda gli aspetti pi� vari e che funga da appiglio rasserenante per
un�esistenza altrimenti inspiegabile. Vasco, invece, dice no all�autoinganno che non porta ad un
reale superamento degli insoluti dilemmi; tutt�altro che materialista a-teo, egli comprende di essere
immerso in questo �campo magnetico� di forze che si attraggono e si respingono, di energie che
interagiscono fra loro con enigmatico mostrarsi senza che la logicit� del pensiero le �violenti� con
le proprie semplicistiche speculazioni.
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Vasco si pone decisamente contro la capillare invasivit� dell�io-che-pensa e contro la sfida
assolutizzatrice di cui esso � portatore. Naturalmente l�artista non nega, n� mai potrebbe farlo, il pur
necessario riferimento ad uno spazio di soggettivit� al quale poter agganciare, per comprenderle,
tutte le esperienze vissute dall�io; egli non ritiene, per� che questo spazio appartenga all�io-che-
(solo)pensa (e pretende di pensare la totalit�, fagocitando l�altro), ma all�io-che-vive (e vive nella
storicit� dell�esistere, a contatto con l�altro ed in rapporto a lui).
Vasco si pone decisamente contro questo dilagante �fenomeno�, che si traduce, sul terreno
dell�accadimento storico, in forme di aberranti prassi comportamentali. Egli �dice no�, ad esempio,
al conformismo becero, alla furbizia calcolata di coloro che �non stanno mai con i deboli�, che sono abituati a �tenere sempre un piede qua e uno l��, e che, per�, proprio per questo, hanno perso la dignit� e continuamente la perdono pur di non �avere colpa� di ci� che accade. Si tratta di una lunga schiera di individui che amano il �gioco� del defilarsi, che non sanno assumere una posizione, che non riescono ad adottare un punto di vista, che preferiscono il degradante qualunquismo alla fierezza dell�obiezione, che evitano il carico di responsabilit�, implicito anche nel dissenso, ma che, poi, si considerano investiti del diritto di giudicare, sentendosi, ovviamente, i �migliori�.
� �Se siete quelli �comodi� che state bene voi../ se gli altri vivono per niente perch� i �furbi� siete voi../ vedrai che questo posto, questo posto../ is beautiful!/ se siete �ipocriti abili�... non siete mai colpevoli/ se non state mai coi deboli, e avete buoni stomaci.. / sorridete.. gli spari sopra.. sono per noi/ / sorridete.. gli spari sopra.. sono per noi!/ (ed) � sempre stato facile fare delle ingiustizie!/ prendere, manipolare, fare credere! ...ma adesso/ state pi� attenti!/ perch� ogni cosa � scritta!/ e se si girano gli eserciti e spariscono gli eroi/ se la guerra poi adesso cominciamo a farla noi!/ non sorridete... gli spari sopra... sono per voi!/ non sorridete... gli spari sopra... sono per voi!/ voi abili a tenere sempre un piede qua e uno l�/ avrete un avvenire certo in questo mondo qua/ per� la dignit�?/ Dove l�avete persa!/ E se per sopravvivere.. qualunque porcheria/ lasciate che succeda.. e dite �non � colpa mia�../ non sorridete... gli spari sopra... sono per voi!/ non sorridete... gli spari sopra... sono per voi!�. �
Vasco �dice no� alla omologante operazione compiuta dai linguaggi mediatici, soprattutto
televisivi, che ottundono le capacit� di eserciziocritico: il non essere �in grado di dire neanche
SE�116 e di non essere �NESSUNO se non appari mai in TV�116 produce solo l�arrendevolezza
meschina di �quelli checredevano che vivere non � sempre solorispondere che... va bene com��
per evitare guai!�.
�Tele appaio, ergo sum�: � il punto di Archimede dell�uomocontemporaneo, dell�iomediatico, il
cui fondamento ontologico (ergo sum) � ricavato dal suo essere.. una �res televisiva� (tele appaio).
�Basta poco� per cadere vittima della banalit� di questo mondo assurdo, bisognoso di un vuoto
giudizio-non giudizio.
Vasco, tuona ancora sul rumoreggiare confuso ed inquietante della �sirena mediatica� e sulla voglia
di apparire sempre e comunque; sul pervicace, sistematico annullamento dell�altro attraverso forme
sempre pi� tragicamente agghiaccianti di autodifesa o, come ipocritamente piace dire, di tolleranza-
zero; ancora su tutto questo egli lancia la sua sottile, amara denuncia in �Basta poco�, sua ultima
canzone.
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centro della parabola esistenziale-filosofica della ricerca vaschiana si colloca una parola chiave che
illumina tutti gli aspetti dell�umano sentire: chiss�.
�Chi-sa� se e dove � il senso? se e dove � la salvezza? se e dove � Dio? Chiss� esprime dubbio ed
incertezza, ha valore di in-avvertite ma provate disillusioni, di in-accettazione del senso di questa
vita, giammai considerata da Vasco come dono piovuto dal cielo, ma come risultante di misteriose
quanto insistenti forze che si intersecano, che interagiscono fra loro.
Chiss�: indica, nella scomposizione dei due fonemi strutturanti il sintagma, un inquietante,
angosciante interrogativo al quale non sembra possibile dare risposta: chi sa, chi conosce, chi � in
grado di sollevare il velo di Maya?
�Chi�, nell�indefinitezza del campo semantico a cui il sintagma rimanda, si riferisce ad una persona,
alla �per-sona�, che ha volont� di voce, che � tale per il suo voler per-sonare, essere cio� cassa di
risonanza di ci� che possiede e che vuol comunicare.
Il chiss� non � un intercalare vagamente oracolante, non una pleonastica forma di concentrata
dubbiosit� espressa nella sinteticit� dell�esclamazione; esso diventa la chiave ermeneutica destinata
a connotare uno spazio, lo spazio del superamento dell�im-personalit� del �si�.
Chiss� � ironia riferita ad un fatiscente �paradiso� destinato a crollare per l�incapacit� di sussistere
visto che l�uomo lo edifica con i mattoni della superba, �troppo umana� presunzione di possedere la chiave di volta di ogni appagante spiegazione. � rabbia per � �quella voglia, la voglia di vivere ... chiss� dov��?!�; � � malinconica amarezza del � �ora tu chiss� dove sei� �riferito ad un amore perso nelle in-comprensioni dell�esistenza.
� �(...) Ma forse � proprio questo il senso, il senso del tuo vagare, forse ci si deve sentire alla fine un p� male�. �
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Ad un artista che ammiro non solo per il genio, ma anche per la sua consapevolezza di essere uomo
con mille dubbi, mille domande, poche risposte. Al suo altalenante volare sopra l�immaginario
comune per poi sgretolarsi nei tormentati abissi del suo profondo sentire; alla sua �voglia di avere
voglia� e al suo �oggi non sto in piedi�.
A tuttigli imbarazzi, alle incoerenti vertigini, agli sbagli sempre incombenti che mai circoscrivono,
de-limitano, nel loro �essere�, la persona. A tutto il �vivere� che non riuscir� mai a dire in un breve
saggio, a Vasco ho voluto rimaner fedele cercando di rispecchiare, con sincero sforzo, il suo errare
ondivago fra le incomprensioni, spesso assurde e paradossali, di una vita, di cui la noia destabilizza
il percorso.
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