Utilizziamo cookie per assicurarti una migliore esperienza sul sito. Utilizziamo cookie di parti terze per inviarti messaggi promozionali personalizzati. Per maggiori informazioni sui cookie e sulla loro disabilitazione consulta la Cookie Policy. Se prosegui nella navigazione acconsenti all’utilizzo dei cookie.
 
 
2 Giugno 2019
 

VASCO ROSSI UNA BOMBA CHE ACCENDE MILANO

UN GIGANTEEEEEE


Vasco Rossi concerto a Milano, una bomba che accende San Siro e trascina i 60mila (leggo.it - link)

 
di Rita Vecchio



Una bomba punk rock a San Siro. Musica, luci, suoni. Uno spettacolo dall’inizio alla fine. Così Vasco piomba sul pubblico dello stadio milanese. Se lo conquista dalla prima canzone. Spacca l’orologio (20.45) quando appare sul palco, come fosse uscito da Blade Runner. Salta, canta, suona. Cori, urla, battiti di mani: sono 57.500 ad affollare lo stadio milanese. Un sold out annunciato da mesi, con biglietti introvabili.

Vasco Rossi a Milano: «Sul palco mi metto a nudo per gli emarginati, come ero io. E basta cavalcare la paura»​

È la prima data ufficiale, prima delle sei previste (e dopo quella di Prova di Lignano Sabbiadoro). Inizia con “Qui si fa la storia”: “La disperazione è già qui/C’è solo un modo / che io conosco/ la disperazione la soffochi con me”. É il manifesto di questo Vasco Non stop tour 019. Chiaro dalla prima canzone, ma ancora più esplicito con il video che scorre dietro di "Mi si escludeva”: un corvo nero con la telecamere in testa, ma il riferimento va a lui stesso: «mi dicevano che ero il male, mi sputavano e le mie canzoni erano state vietate».

I temi sono l’integrazione, la diversità, la disperazione. Da qui corre tutto d’un fiato fino a Buoni o cattivi. Quando chiama San siro più volte: “Benarrivati e bentornati. E continua con “La verità”, “Quante volte”, “Cosa succede in città”, canzone che aveva dato titolo al live dell’anno scorso dopo il raduno di Modena Park. Rock. Canzoni vestite di punk rock, per buona parte delle due ore e mezza di concerto. Riporta alla ballad Vivere o niente, che non suonava dal 2011.



Sventolano striscioni (c’è ne è uno sotto palco che porta la scritta “Pane fica e Vasco”) e qualche reggiseno sul Fammi vedere di Vivere. Con lui, re della scena, c’è la band. La riconferma Beatrice Antolini, bravissima polistrumentista dal precedente concerto, che si impossessa del palco durante l’Interludio dopo “La fine del millennio" e “Portatemi Dio”. Il bassista Andrea Torresani, che era stato preso pure lui nel tour precedente a sostituire Claudio Gulinelli, detto Il Gallo, e con cui ora fa la staffetta alternandosi sul palco. E con loro, Stef Burns, spalla di Vasco sul palco. La regia dietro è di Pepsy Romanoff.

Il palco è un rettangolo lungo che si estende per tutta la lunghezza del prato con una passerella centrale che entra nel pubblico. I temi sono l’esclusione e l’emarginazione, la solitudine, il pregiudizio, 29 canzoni - tante quanti sono gli anni dal suo primo San Siro, “Fronte del Palco”, e tante quante sono le volte qui ha cantato - punk rock, con la rivisitazione di pezzi degli anni ’80 che dominano la parte centrale del concerto (“Portatemi Dio”, “Domenica lunatica”, “Ti taglio la gola”, non era in scaletta dal 1985) insieme a “Se è vero o no”, che canta per la prima volta (da Gli spari sopra, 1993), “Fegato spappolato”. E il finale, con i pezzi di rito. Dopo Sally, quelle di rito. Immancabili. "Siamo solo noi", "Vita spericolata", "Canzone" e “Albachiara". Lasciando il pubblico senza parole. Compresi gli ospiti, da Valerio Mastandrea a Simona Ventura a Saturnino. É tutto un applauso. È un coro all’unisono che lo saluta. E a un solo urlo: Vasco, olè!

"Ce la farete tutti!" urla Vasco dal palco". Il pubblico urla. Applaude. Si emoziona. Sono passate due ore e mezza. Sembra finito. E invece no. Partono le note di "Albachiara" e un diluvio di fuochi d'artificio. E sono brividi. Brividi non stop.
 



Vasco Rossi duro e puro a San siro: la recensione del concerto (rockol.it - link)

Abbiamo visto la prima delle sei date nello stadio milanese. Un racconto-concerto in due atti: narrativo e rabbioso il primo, celebrativo e corale il secondo.




”Sarà uno show duro e puro”, aveva promesso Vasco ieri, nella conferenza stampa. E la promessa è stata mantenuta: dura la musica, fin dalle prime note; il puro è lui: Vasco parla poco, non si risparmia e racconta in modo esplicito la sua visione di questi tempi, ora con rabbia, ora commuovendosi, ora rassicurando il suo pubblico.
“San Siro è il mio locale”, ci ha raccontato ieri il rocker. “L’abbiamo affittato per due settimane, mettetevi comodi”: lo stadio si accende poco prima delle 9, per il primo dei sei concerti milanesi del "VascoNonStop Live 019": alla fine di questi 15 giorni saranno saranno 29 in 29 anni, da quel 10 luglio del 1990.

Entra prima la band, poi Vasco: lo si vede gigante prima sul megaschermo e poi a dimensioni reali sul palco. Attacca la canzone simbolo dello spettacolo “Qui si fa la storia”, recuperata da “Il mondo che vorrei” del 2008 per raccontare la disperazione di questi tempi. E trasforma la disperazione in rabbia elettrica: il concerto, nella prima parte, è pensato come un racconto rock di questi tempi, con poche pause. Tra i pochi rallentamenti, quelli in cui la parte “pura” si vede di più, c’è “Quante volte”, dove il suo volto appare quasi commosso sui megaschermi, cosi come in “Vivere o niente”, dove si accendono le prime luci del pubblico di San Siro. Il rapporto con i fan è viscerale: non c’è canzone che non venga cantata dall’inizio alla fine, fondendo le voci di Vasco e dei 60.000 di San Siro.

Si riparte subito: su “Fegato fegato spappolato” i megaschermi si accendono di fuochi e le chitarre, più che “mood punk-rock” come aveva anticipato ieri, sono metal. “Asilo republic” invece è davvero punk, con un montaggio frenetico di immagini sullo schermo e l’urlo “Fuoco!”. La prima parte del racconto, quella più rabbiosa, termina con “La fine del millennio”.
Il lungo interludio centrale è prima cantato da Beatrice Antolini, spesso inquadrata sui megaschermi mentre si alterna su diversi strumenti, poi vede un lungo assolo di Stef Burns. La band è ben rodata e diretta dal capo orchestra Vince Pastano e c’è pure spazio per due bassisti, il "Torre” Andrea Torresani e lo storico Gallo.

Comincia quindi la parte più celebrativa, con i grandi classici introdotti da una “Portatemi Dio” che anticipa la parte più autobiografica: ”Portatemi Dio, gli devo parlare, gli devo raccontare di una vita che ho vissuto e che non ho capito”. Invece sembra averla capita benissimo, e la sa raccontare: si comincia con “Gli spari sopra” (con il Gallo che torna per il giro di basso che sostiene la canzone) e si prosegue tutto d’un fiato, con una furiosa “C’è chi dice no”, con un Vasco moltiplicato sui megaschermi che duplica quello reale sul palco. Bello il recupero di “Ti taglio la gola”, ma il climax è “Vivere”, con Vasco protagonista di un videoclip sugli schermi, girato dal fido Pepsy Romanoff: ricorda nella grafica la sigla di “True detective” e contiene i titoli di coda prima dei bis, con tutte le persone che hanno lavorato allo show.
I bis cominciano da “La nostra relazione”, con una sequenza che infila “Tango della gelosia”, “Senza parole”, la sempre commovente “Sally” (con uno “short film” sui megaschermi, ambientato per le strade di una città asiatica) fino al finale obbligato con “Siamo solo noi” , “Vita spericolata”, “Canzone” (con il ricordo di Massimo Riva) e “Albachiara”.

Come si dice in questi casi: buona la prima. Vasco ha messo in piedi un racconto-concerto in due atti: narrativo e rabbioso il primo, celebrativo e corale il secondo. Il messaggio finale è quello urlato a fine concerto, l'ormai classica benedizione finale di Vasco: “Ce la farete tutti!”. La disperazione con si supera con la musica.
 
Tutte le news


 


Segui Vasco su: