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5 Giugno 2012
 

La testimonianza di un fan dalle zone del terremoto

All'inizio della settimana scorsa Marco ha raggiunto in auto, con due suoi amici, i paesi che sono stati teatro ed epicentro del terremoto. Il suo racconto comincia con una panoramica ambientale. Mi racconta che una delle cose che lo ha impressionato di più è che i segni della distruzione pare non siano visibili con chiarezza lungo la statale, ma ti colpiscono come un pugno in faccia poco prima di raggiungere i paesi. Quindi, poco prima di Mirandola, poco prima di Midolla, poco prima di Concordia (n.d.a.: vi ricorda "qualcuno" questo paese?...).
E sono "segni" aperti come ferite che sanguinano mattoni e calcinacci rovesciati a terra, tetti distrutti, mura sgretolate, pareti solcate da crepe spaventose. Interi centri transennati (le famigerate "zone rosse") e negozi chiusi, strade deserte.


I campi di tende costruiti grazie solo all'impegno di centinaia di persone appartenenti a diversi gruppi, grazie solo al loro sudore, alla loro ferma volontà, alla loro fatica e al loro amore che è sempre garantito, senza nessuna attenzione per il giorno o per la notte, sono molto diversi tra di loro.


C'è la tendopoli di Mirandola, quella che tutti vediamo nei vari telegiornali, che è bene organizzata, con un ospedale da campo in stile americano ed efficientissimo, mentre a Concordia il pronto soccorso è stato allestito dentro una tenda più semplice, e le stesse tende per il riparo notturno delle persone arrivano a ospitare fino a 60 posti letto.
Ci sono delle pecche, ma la colpa non è di nessuno; delle differenze davvero notevoli, per esempio, tra le condizioni igieniche di Mirandola e quelle di Concordia. A Mirandola si è riusciti a mantenere un buon equilibrio sanitario, mentre a concordia molte persone soffrono di dissenteria, come conseguenza dell'emergenza del sovraffollamento. E non c'è da stupirsi neanche troppo dato che a Concordia ci sono solo quattro servizi igienici che devono essere sufficienti per tutti.


Le persone stanno soffrendo, ma coloro che soffrono di più non sono i bambini; i bambini si adattano in fretta; il problema sono gli anziani che talvolta devono venire trasferiti in centri più organizzati, a Modena o dintorni.
Il lavoro degli psicologi è serrato e attento, ma viene vanificato troppo spesso da nuove scosse, sempre troppo vicine a quelle precedenti.
La gente ha paura; chi non è nelle tendopoli, dorme in giardino (dentro la sua tenda personale) o in auto. In camper, i più fortunati.
Il problema dello sciacallaggio sembrerebbe essere contenuto o quasi inesistente; Marco non ne ha sentito parlare più di tanto. Il problema, semmai, è la paura che possa succedere di tutto, e che ogni scossa che verrà dopo la precedente potrebbe essere pure peggiore.


Quando scende la notte non c'è un vero silenzio; se si presta davvero attenzione al mondo che hai intorno, senti che qualcuno sta piangendo nel suo letto di fortuna. Da vero emiliano, nella discrezione del buio, pronto a ricominciare tutto dal giorno successivo. Da capo. Come da tradizione.


Quando Marco si lascia alle spalle quella realtà, l'ultima persona che incontra è un allevatore.
Sta mungendo le mucche all'aperto, circondato dalla sua famiglia che gli sta dando una mano.
Non ha più una stalla.
Marco si ferma, lo guarda.
L'allevatore lo nota e gli dice: "Hai visto? Un attimo e... PUFF! Tutto finito. Hai da accendere?"
Marco ha da accendere. E, forse, ha aiutato ad accendere, o a tenere accesa, anche qualche piccola speranza.
 
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