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1 Luglio 2005
 

L'AMACA di Michele Serra

(La Repubblica 01/07/2005 pag. 16)



Quando si muoveró l'Africa, dice sempre un mio amico che ha viaggiato molto, noi europei potremo solo fare i cronometristi per registrare i nuovi record dei neri. La metafora è radicale, ma rende efficacemente la paura inconscia che i vecchi hanno dei giovani, perchè di questo poi si sta parlando: qui tutto è glorioso ma logoro, l'atmosfera è di un percorso giá compiuto, di una storia già fatta (fatta anche per conto dei non europei, e sulla loro viva pelle). Laggi tutto incompiuto e ancora da farsi, e la maniera pietista e paternalista con la quale parliamo di un continente enorme e difforme, del quale sappiamo pochissimo, non è davvero quella giusta. Ben venga Live-aid con le sue gran casse, alcune delle quali esprimono la migliore musica del mondo moderno, a patto che poi si provi a dire "Africa" con un poco di umiltó in piú, un poco di curiositò in più, magari imparando (e non dev'essere troppo difficile) che Nigeria non è Sudafrica che non è Etiopia, che non è Marocco, che l'Africa é infiniti popoli, infinite culture, molte religioni, non tutto é solo fame e dittatura, in Africa. Affascina l'idea che il continente dove il genere umano ha avuto origine, e ha cominciato la sua avventura, (dunque, il solo vero "vecchio continente") sia il potenziale serbatoio di un nuovo inizio.
Verró, prima o poi, il turno degli altri, no?

(La Repubblica 01/07/2005 pag. 16)
 
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