19 Giugno 2009
"Il romanzo delle stragi"
di Ilaria(cb)
Penso a tutti coloro che per le loro opinioni non hanno corso solo
qualche rischio, ma molto di più.
Penso a Peppino Impastato, ai 100 passi che lo
dividevano dalla casa del boss.
100 passi e la sua voce che irrompe per l'etere,
per le strade, a ricordare cos'era,chi era e cosa faceva il boss.
Ha pagato con la Vita.
Penso a Roberto Saviano, al suo coraggio
per aver fatto conoscere e divulgato l'impero economico della camorra.
Ha pagato perdendo la Libertà.
"Il coraggioso muore una volta, il codardo cento volte al giorno" -
diceva Giovanni Falcone...
Anche lui ha pagato con la vita..
Vorrei riportare un pezzo del grande intellettuale,ma non solo,
Pierpaolo Pasolini.
Anche lui morto, in circostanze, o per motivi ancora non ben definiti.
"Il romanzo delle stragi"
Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe
(e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di
protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei
primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi
fascisti ideatori di golpes,
sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli
"ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi
della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase
antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della Cia (e in
second'ordine dei colonnelli greci e della mafia),
hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata
anticomunista, a tamponare il 1968, e,
in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono
ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del
referendum.
Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l'altra, hanno dato le
disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali
(per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale
colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti
(per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine ai criminali
comuni,
fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la
successiva tensione antifascista).
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei
personaggi comici come quel generale della Forestale che operava,
alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi
bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il
generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai
tragici ragazzi che hanno scelto
le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che
si sono messi a disposizione, come killers e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle
istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire
tutto ciò che succede,
di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non
si sa o che si tace;
che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi
disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico,
che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la
follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere.
Credo che sia difficile che il "progetto di romanzo" sia sbagliato, che
non abbia cioè attinenza con la realtà,
e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti.
Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò
che so io in quanto intellettuale e romanziere.
Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo
in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una
grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè
non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio.
Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi,
dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974
[L'editoriale di Paolo Meneghini era intitolato "L'ex-capo del Sid,
generale Miceli arrestato per cospirazione politica].
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o,
almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo
forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo
ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella
pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da
perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei
nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti
pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per
il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e
inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente
politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e
quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta
probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è
proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si
identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la
verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due
cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da
tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto
e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e
ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del
suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che
questo) al "tradimento dei chierici". Gridare al "tradimento dei
chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i
servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere.
In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere
essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito
all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza
dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un paese pulito in un paese sporco,
un paese onesto in un paese disonesto, un paese intelligente in un
paese idiota, un paese colto in un paese ignorante, un paese
umanistico in un paese consumistico.
In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in
senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di
dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un
baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto
un "paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può
oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo,
corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici,
quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono
incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità.
È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso",
realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo
sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra
due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista
italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del paese in due paesi, uno affondato fino al collo
nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non
compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo
oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si
identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono
non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci
riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato
stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato -
puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione
di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno -
come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi
dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpes e delle
spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella
misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un
intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi,
naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi
l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del
resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene
imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di
intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della
storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia
contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno.
Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella
che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a
servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei
tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo)
io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro
l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei
principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei
partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è
quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto
altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità,
cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la
possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei
responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente
egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari
decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò
che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon -
questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che
hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro
maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che
siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero colpo di Stato. /
/Ilaria(cb)/
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