Utilizziamo cookie per assicurarti una migliore esperienza sul sito. Utilizziamo cookie di parti terze per inviarti messaggi promozionali personalizzati. Per maggiori informazioni sui cookie e sulla loro disabilitazione consulta la Cookie Policy. Se prosegui nella navigazione acconsenti all’utilizzo dei cookie.
 
 
17 Aprile 2008
 

I sogni e il rock..

Intervista a Vasco. di A.Adami per Tv Sorrisi e Canzoni



Intervista a Vasco.
di Alex Adami per Tv Sorrisi e Canzoni

Passano gli anni, cambia il clima, cadono i governi, nascono e tramontano le star del pop, del cinema e del pallone, ma Vasco resta Vasco.
E tutti lì a chiedersi come faccia a scrivere canzoni così belle, a non perdere mai la direzione, a trascinarsi dietro le generazioni una dopo l'altra. Ora che di anni ne ha 56, lui si gode lo spettacolo da lontano, come se la cosa neppure lo riguardasse più.
Ora che esce il suo album di inediti numero 17 («Il mondo che vorrei») può anche prendersi il lusso di non pensare a ciò che scriveranno i giornali.

«Le mie canzoni devono piacere a me. Se poi piacciono agli altri, meglio»
spiega con la sua eterna, disarmante sincerità. Intanto si prepara per il nuovo tour negli stadi. Quando ne parla, i suoi occhi brillano.

«Sto bene. Molto bene. Ho fatto gli esami ed erano a posto. Così a posto che il dottore pensava ci fosse qualche errore e me li ha fatti rifare». «Ma il fisico non è mai stato un problema» prosegue. «Il problema è la testa».

Perché?
«Per stare bene devo essere occupato. Devo avere qualcosa da fare, una cosa qualsiasi. Anche mettere ordine nella rubrica del telefonino».

In una delle nuove canzoni canta: «Io non riesco neanche più a capire che cos'ho/e se non viene un angelo, e se non viene un rock'n'roll…».
«Già. Sono le cose che mi servono per andare avanti. E visto che di angeli per ora non se ne vedono, mi attacco al rock'n'roll. Sono trent'anni che vivo di rock'n'roll».

Solo di quello?
«Più o meno. Ma non è sempre stato facile».

Difficile da credere, oggi.
«Quando ero un ragazzino usavo la musica come surrogato del sesso. Ho iniziato a cantare le canzoni di Battisti, poi ho provato a scriverne di mie. Ma quando gli amici mi vedevano arrivare da lontano con la chitarra scappavano».

Non potevano sapere.
«In quegli anni era comunque tutto fantastico. Ogni giorno durava un anno, mi svegliavo la mattina ed ero pronto a correre via. Ora apro gli occhi e non vorrei mai alzarmi. Me lo devo trovare, un buon motivo per tirarmi su. Per trovarlo poi lo trovo, ma che fatica…».

In «E adesso tocca a me» canta: «E adesso che non ho più il motorino che cosa me ne faccio di una macchina?».
«È proprio questo il punto. Il mio motorino mi portava in capo al mondo ogni mattina. Ora ho una Mercedes 5000, ma ci sono pochi posti dove ho voglia di andare. O dove posso andare: non giro più liberamente, io».

La musica è ancora un surrogato del sesso?
«La musica è meglio del sesso. Anche solo per il fatto che una canzone puoi cantarla quando vuoi tu. Basta avere una chitarra».

Non l'ha sempre pensata così.
«Diciamo che ho attraversato un periodo molto turbolento, fino alla fine degli Anni 80. Poi ho incontrato Laura, la donna della mia vita. Oggi vivo un'età nella quale gli istinti primari sono abbastanza controllabili».

Meglio prima o meglio adesso?
«Molto meglio adesso. Sono più libero».

E che cosa ci fa con questa libertà?
«Ecco, il punto è proprio questo. Ho provato con i libri e con la contemplazione. Grandi soddisfazioni, per carità, ma non è la stessa cosa. Non c'è niente che ti possa dare lo stesso fremito di quando hai 15 anni e stai per andare in discoteca sperando di trovare una ragazza per la serata».

Nell'album, però, ci sono anche delle canzoni d'amore. E sono tutte passionali.
«Quando scrivo canzoni d'amore il tempo non esiste. Attingo a emozioni di oggi, di ieri e di domani».

Nei nuovi pezzi si parla anche di molto altro.
«Sì. Di sesso, di rabbia, di illusioni e di delusioni. Di tutto quello che ti succede se sei vivo, insomma».

Mai di politica.
«La politica non fa per me. È giusto che ci siano delle leggi e io rispetto quelle che posso. Ma non esiste un partito delle rockstar, da chi posso sentirmi rappresentato?».

C'è quella storia della sua tessera d'appartenenza al partito radicale…
«I radicali sono puliti, e condivido le loro battaglie sociali. Quando, nel 1984, finii in carcere per qualche settimana, Pannella mi mandò un telegramma e la cosa mi fece piacere. Mi sono iscritto al partito radicale per gratitudine, tutto qua».

Che cosa non le piace della politica?
«Non è che non mi piaccia, la trovo anche interessante. La seguo come seguo il campionato di calcio. Ma la politica è come la vita, una mezza fregatura. È fatta di grandi aspirazioni che poi la realtà tradisce inesorabilmente».

La vita l'ha tradita spesso?
«Non è una questione di episodi, si tratta di un discorso generale. Non ho le ali per volare, per esempio, e c'è troppo traffico in giro. In fondo l'avevo già capito ai tempi di “Vita spericolata”, quando chiedevo una vita come quella dei film. Una vita in cui ogni istante succede qualcosa. Senza pause, senza attese, senza momenti di noia. Per questo negli anni mi sono reso conto di quanto sia importante l'immaginazione. Sono i sogni a rendere sopportabile la vita».

Lei ha detto: «Mi sembra che Dio mi abbia concesso una vita veramente varia e lunga, o forse si è dimenticato di me». Vasco parla di Dio?
«Dio, il cielo, il caso, la natura, non so. C'è un mucchio di gente che chiama tutte queste cose “Dio”, perché non posso farlo anch'io? Non ho una fede, ma invidio quelli che ce l'hanno. Non importa che Dio esista oppure no: intanto loro stanno meglio perché credono che esista. In fondo la faccenda è tutta qui, perché se guardi la vita per com'è, alla fine è solo crescere, soffrire e poi morire. Comunque, senza andare a cercare tanto nei cieli, direi che la vita è già un grande miracolo di per sé. Se poi ci aggiungi i sogni e le aspirazioni umane, ci sono un sacco di cose belle».

Per esempio?
«La musica, l'immaginazione, l'arte, l'amore».

Certo che Vasco negli anni è diventato più saggio.
«Guardi che queste cose le scrivo da sempre, nelle canzoni, in modo più o meno aperto».

Ha anche una relazione stabile con una donna da quasi vent'anni.
«È la relazione che rende stabile me. Devo molto del mio equilibrio alla mia famiglia».

Pensa mai al futuro?
«Relativamente poco, non ne sono ossessionato. Del resto va bene così, io credevo di morire a 35 anni e oggi ho l'età di mio padre quand'è morto. Non avrei mai pensato».

Perché no?
«È come se uno sentisse che c'è un ordine, nella vita. Mio padre ne ha passate di tutti i colori. È stato in un campo di concentramento ed è tornato che pesava 40 chili. Faceva il camionista e, quando l'azienda di trasporti per la quale lavorava è fallita, con molti sacrifici si è messo a fare il padroncino. Poi ha comprato la casa per sistemare mia madre e me. Poi si è messo a lavorare sulla casa. Ha messo a posto l'ultimo infisso, quello di camera mia, e da un giorno all'altro se ne è andato».

Come fa a parlare di queste cose con tanta serenità?
«Il problema non è morire, è vivere. Alla fine la morte sarà come quando uno si addormenta».

E non la mette a disagio l'idea di perdersi qualcosa? Che so, suo figlio Luca che diventa un uomo o una grande canzone che ancora non ha scritto.
«Sono storie. Ho pagato le tasse e le ultime bollette, i soldi per l'università dei figli ci sono, di cosa mi dovrei preoccupare ancora? E in ogni caso potrei anche star senza fare dischi».

Falso.
«Non sta scritto da nessuna parte che debba ancora scrivere centinaia di canzoni. Non potrei stare senza cantare dal vivo, questo no. In fondo già oggi scrivo i pezzi per poterli portare sul palco. La verità è che lavorare in sala di registrazione è piuttosto noioso».

Non è geloso del fatto che lo stadio di San Siro è ormai aperto a tutti gli artisti? Una volta in Italia poteva permetterselo solo Vasco.
«Ho aperto una strada che oggi è piuttosto frequentata, ma sarà difficile che qualcun altro riesca a riempire San Siro per 12 volte di fila. In fondo sembra un miracolo pure a me. E non m'interessa se altri si sono presi San Siro, magari usando dei mezzucci per riempirlo. Che ognuno faccia quello che vuole, l'importante è che possa tornarci io. Certo, se un giorno io non potessi più farlo e gli altri sì, sarebbe dura».

Potrà dire anche lei che vuol fare concerti nei teatri per dare una dimensione acustica alle sue canzoni.
«Non è che l'eventualità non sia stata presa in considerazione. È che finché riempio gli stadi, io sto negli stadi».

Lo sa quanti artisti vorrebbero essere al suo posto?
«Si accomodino. Però non si devono prendere solo il mio successo, devono beccarsi tutto il pacco. Non è mica facile essere Vasco Rossi».

C'è un posto nel mondo dove è felice?
«Non sono i posti a rendere felici le persone. Ma quando vado a Los Angeles per lavorare ai dischi, mi prendo una vacanza da me. Da quelle parti nessuno mi conosce, e c'è sempre molta luce. Mi fa bene».

Cosa fa quando è in California?
«So poco l'inglese, non posso parlare con la gente o guardare la tv. Sono solo e isolato anche lì. Dovrei passarci più tempo e imparare. Comunque i soldi servono poco».

Che cosa c'entra questo?
«C'entra. Perché ora che di soldi ne ho, vorrei andare in un negozio, sganciare 1.000 dollari e dire: “Impiantatemi la lingua inglese”. E invece non si può fare. E allora che me ne faccio dei soldi?».

Già, che cosa?
«Mi sono costruito uno studio personale, ho una bella casa e una bella macchina. Poi certo, ho un sacco di figli ai quali devo provvedere».

Come stanno i suoi ragazzi?
«Davide va avanti bene con il cinema, ha recitato pure nel film di Moccia. Lorenzo è innamorato e si è iscritto a una scuola di teatro. L'avevo fatto anch'io, alla sua età, è una cosa che ti aiuta psicologicamente. Luca non ha grilli per la testa, suona in una band rock ma da grande vuol fare il notaio».

Luca è anche l'unico che ha sempre vissuto con lei.
«Luca è il motivo per cui torno a casa ogni volta».

Vasco è un padre affettuoso?
«Me lo sono goduto, Luca, e me lo sono pure coccolato, anche se spesso i nostri erano più che altro dei veri e propri incontri di lotta. Oggi che ha 16 anni, non c'è più bisogno di tutto questo. Eppure comunichiamo anche quando non ci parliamo. Se è nell'altra stanza che gioca con la sua Play-Station, io mi sento felice, perché so che c'è, e credo sia la stessa cosa per lui. In fondo è stato così anche tra me e mio padre».

Che cosa ha imparato da suo padre?
«L'onestà. E la sincerità».

Tutti i figli, prima o poi, hanno la sensazione di essere stati presi in giro dai propri genitori.
«Io no. Lui poteva nascondermi delle cose, ma non se ne inventava mai di sana pianta. In casa i soldi mancavano, e io lo sapevo bene. Ma ogni volta che i miei discutevano di quattrini, lui prendeva mia madre e la portava in un'altra stanza. Credo di non averli mai sentiti litigare per questo».

E voi due litigavate?
«Mio padre aveva il suo modo di dirti le cose. Cercava di proteggermi, quando davanti alla tv si alzava e se ne andava dicendo che tanto erano tutte balle. Ma l'ho capito soltanto oggi: mi comporto nello stesso modo con Luca, perché ho paura che rimanga impressionato da quel che passa sullo schermo».

Per cosa la ringrazieranno i suoi figli, domani?
«Provo anch'io a metterli in guardia. Lo faccio come posso, ma non riuscirò comunque a evitare loro i casini della vita, come mio padre non ha potuto evitarli a me. L'importante è che abbiano qualcosa a cui aggrapparsi. Io ho sempre avuto il rock».
 
Tutte le news


 


Segui Vasco su: