VASCO E LA FUCINA DELLE EMOZIONI
di Emanuela Giovannini
Vasco no stop, Vasco non si ferma. L’unica cosa che si ferma è il cuore, quando cala la sera e mancano pochi minuti all’inizio. Lui, lo so, è già dietro il palco, noi, di qua, attendiamo e a me sembra che tutti stiano in silenzio. Finché non entra e sono scintille. Sugli schermi incudine e martello a forgiare metalli come Vasco forgia le emozioni che aspetto tutto l’anno. Un Efesto moderno che fa esplodere note dalle viscere del Vulcano. I suoi ciclopi sono la band, lì a colpire duro corde, tasti, rullanti perché insieme si possa essere, ancora una volta, felici.
Il soundcheck è stato un rito intimo, sussurrato. Un concerto sfiorato, tecnicamente perfetto e in attesa di decollare. Decollato con la data 0 e quando Vasco si lascia andare, la nave va a già gonfie vele. Nella scaletta si alternano i classici senza tempo, i manifesti della mia adolescenza e le riflessioni più mature, in un viaggio che lascia sempre senza fiato, o per il rock che pompa nelle vene o per la dolcezza delle ballate struggenti. Ed è impossibile trattenere le lacrime. A Torino non le trattiene neanche Vasco.
Domani sarà la mia Roma. Che tremerà davanti a lui. Io vivo per quel momento lì, per l’istante esatto in cui planerà sul palco. Quando l’Olimpico sembra gonfiarsi. E se guarderete il cielo romano, vedrete cinquantamila sogni avverarsi. Vedrete una città felice, vedrete le emozioni di chi non ha paura delle sue passioni, di chi ha sfidato il tempo e i pregiudizi ed ha avuto ragione, di chi ha creduto nell’ostinata utopia di un mondo migliore.
Grazie Vasco. Di uomini come te, non ne nascono mai abbastanza.