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8 Febbraio 2021
 

Il racconto della domenica sera

 
di Viviana Correddu

#BuonCompleannoVasco (mettersi comodi, è lunga..) #AuguriVasco #vasco69

Una riflessione…per te!
(Lettera inviata a Vasco, l'1/5/2015 tramite il suo ufficio stampa - la Tania -, dopo che scrisse la prefazione al libro "Il Gallo Siamo Noi")

Ho in mente un ricordo preciso di quando tutto ebbe inizio. Ero in vacanza dai miei zii in un paesino del parco nazionale d’Abruzzo, a mille metri di altitudine, con tanto di lago e poche anime, che però in agosto si ripopola per la festa del paese…quelle robe da santo patrono, processione e concerto serale…oh…erano venuti i Dik Dik quell’anno, mica noccioline! Comunque…il cugino di mio cugino era un tuo fan sfegatato e, insieme ad alcuni amici, condivideva una saletta (che loro chiamavano “il club”). Lì si ritrovavano ogni giorno. La gente del paese mormorava e diceva: “chissà cosa ci fanno là dentro”, “si fanno certamente la droga!!”. Invece credo tu sappia bene di cosa si trattasse..in realtà qualcuno di loro si fumava qualche canna, senza che gli piacesse troppo, a turno ci portavano qualche ragazza da conquistare (eufemismo..), ma principalmente ci suonavano e avevano tirato sù una cover band…. “la combriccola del Blasco”…un classico!
In una di quelle sere d’agosto, la radio avrebbe emesso in diretta il tuo concerto a San Siro; non ricordo esattamente l’anno, ma all’incirca erano i primi anni ’90; eravamo già in fibrillazione, e sapendo che anch’io ero una tua fan, mi dissero che sarei potuta andare da loro a sentirti. Ero ammessa ufficialmente al “club”.
In realtà credo che gli facessi tenerezza; erano già ragazzi di 18 anni, e io una bambina di 12 o giù di lì, che veniva dalla città…mi guardavano incuriositi. Una fan di Vasco decisamente anomala per loro, appassionata come non ne avevano mai incontrate, che capiva finalmente quella musica che nel paesino in cui abitavano, veniva perennemente tacciata come la musica della perdizione.
Mio zio mi lasciò andare, nonostante ci fossero dieci maschi più che maggiorenni ed io fossi una mini ragazzina, timida e ancora in erba, ma fu solo perché con loro c’era suo nipote, il quale ricevette mille raccomandazioni minacciose. Lui mi avrebbe guardato a vista, e io indossai la mia maglietta migliore.. per l’occasione. Quella nera..con te capellone e cappello al contrario, quando ancora era in buono stato e non usurata dai lavaggi a 70 gradi di mia madre.
La luce soffusa, una nuvola di fumo che avvolgeva la stanza, e la radio accesa. Seduti in cerchio ai bordi della saletta, in attesa che arrivasse la prima nota. Poi il boato della folla a preparare le orecchie. Ci sembrava di essere lì..in prima fila. Il cuore batteva a mile e oggi mi viene da dire: ma come hai fatto a emozionare così la gente…!! Il silenzio nel club era tombale, solo la tua musica rimbombava a tutto volume; io seduta in un angolo, conoscevo tutti i giri di batteria e loro mi osservavano divertiti, perché forse non si aspettavano tanta preparazione.
In fondo il mio mangia cassette aveva conosciuto solo “Fronte del palco” fino ad allora, ma era stato abbastanza per fare bella figura; poi qualche giorno dopo scoprii “Ma cosa vuoi che sia una canzone” e al mio tredicesimo compleanno una mia compagna di scuola tutta casa e chiesa, mi regalò “Cosa succede in città” (quel giubotto di pelle marrone sbiadito che avevi in copertina l’ho desiderato fino all’inverosimile, ma non era un capino semplice da trovare, soprattutto taglia 13/14 anni, e ci dovetti rinunciare); da lì in poi, iniziai a comprarmi tutte le cassette, e non ce n’era più per nessuno!
In realtà, se proprio te lo devo dire, ascoltarti durante mia adolescenza, è stato come approcciarmi per la prima volta a quel sentimento di “diversità” che prima non avevo ancora colto pienamente. All’inizio degli anni novanta, le ragazzine della mia età cantavano Marco Masini, gli 883 e si strappavano i capelli per i Take That. Io inorridivo. E in fondo per la prima volta ho compreso quanto il mondo e gli anni in cui ero capitata, e in cui stavo vivendo, mi appartenessero davvero poco. Cosa ci trovavano le altre in quattro coglioni che ballavano sul palco mezzi nudi, proprio non lo comprendevo. Ricordo che fissavo i tuoi occhi nella copertina di “liberi liberi”, persi a guardare l’infinito…e ci vedevo i miei; tutto il resto era poesia, ironia..rock e rabbia, un mix esplosivo che volevo vivermi a tutto volume. E fanculo a chi dopo pranzo voleva farsi la pennichella! E che rabbia, quando mia madre entrava in camera urlandomi di abbassare. Tredici anni, e avevo intuito in modo inconsapevole che "fegato fegato spappolato” “siamo solo noi” e “sono ancora in coma”, le avrei potute scrivere qualche anno dopo se solo ne fossi stata capace, e che quella giovane donna di cui cantavi in “Ed il tempo crea eroi”…ero proprio io…anche se solo l’idea di esserlo davvero, mi stava già stretta. A vent’anni poi, ho decisamente iniziato a rifiutare quella veste, e ho deciso che piuttosto sarei morta, ma non mi sarei arresa a quel destino. Purtroppo ho scelto metodi drastici ma, alla fine, ci sono comunque riuscita, e quel destino l’ho saputo modificare. Ho attraversato una strada pericolosa e difficile, ma oggi ce l’ho fatta a ribellarmi a quell’eterno inganno e ho lottato contro chi mi voleva così… innocente, e banale.
E mentre cercavo la mia strada, nel frattempo ho perso anche te.
Sembra assurdo, sembra non centrare niente..eppure è andata così. A vent’anni ho iniziato a farmi, e contemporaneamente ho iniziato a dire che Vasco Rossi era morto con “liberi liberi”, l’ultimo disco che secondo me aveva avuto un senso e che ti caratterizzava. Forse ero disposta a salvare “gli spari sopra”, ma solo perché nel ’93 mia madre disse che ero solo una bambina, e non sarei potuta andare al tuo concerto. Piansi tutta la sera in preda alla disprazione. Poi tornasti a Genova nel ’96 dopo l’uscita di “Nessun pericolo… per te”, la prima volta credo che facevano fare un concerto allo stadio Ferraris; io avevo sedici anni e mio fratello mi portò con un gruppo di suoi amici. Era dal ’90 che aspettavo quel momento...e il paragone che avevo davanti(fronte del palco), era tanta roba! Ma ero emozionata, e tornai a casa senza un filo di voce. Fu l’evento comunque della mia adolescenza, anche se a vent’anni quel disco per me era già diventato uno dei tanti, tra gli altri che ancora sarebbero arrivati.
Per ogni disco uscito successivamente, ho pezzi di cui mi sono innamorata, ma credo che dal 2000 in poi il problema nei tuoi confronti, fosse diventato un altro: io stavo diventando grande e mi stavo incattivendo, mentre tu stavi invecchiando. Tutto qui. Vogliamo dire “crescendo”? Mettiamola come vogliamo. Eri diverso. E’ un processo naturale, inevitabile, necessario. Allora non avrei potuto comprenderlo.
“Canzoni per me” è un bel disco, niente da dire…canto sempre a mia figlia qualche pezzo di quell’album ma, in quel momento della mia vita, proprio non ci stava. E così tutti quelli successivi; ci sono pezzi di cui oggi non potrei fare a meno, che nuovamente riconosco, ma in quegli anni io avrei voluto mi cantassi “non mi va”, “c’è chi dice no”, “asilo republic”. Mi restavano i concerti. Quelli sì…non me li sono mai persi, anche quando già mi facevo. Una volta mi sono pure arrampicata sulle impalcature per raggiungerti a fine concerto. Ventun’anni buttati ammmare, come diceva mia madre…effettivavemente, se fossi caduta…sai che morte del cazzo!!
Tornando al punto. Mi ero semplicemente persa un pezzo di storia. Ero arrivata tardi. Come mille altre volte nella mia vita. Mi ero persa Bowie nel periodo di “life on mars”, e Lou Reed mentre cantava con i Velvet Undergound, e i Rolling Stones quando Mick Jagger era ancora un fico da paura. Per non parlare della letteratura; a quel punto se proprio mi fossi dovuta perdere il tempo della musica che mi piaceva, avrei preferito nascere nell’ottocento per respirare l’atmosfera inebriante che assorbivo dai libri di Dostoewsky, Flaubert, Goethe… e invece…“Tre metri sopra il cielo”… ma vaffanculo…..!!

Ero solo incazzata. Ero nata nel momento sbagliato. Tra le varie possibilità, proprio nel 1980……a metà tra il senso e il non senso.
Forse ho pensato che saresti dovuto crepare…..come una vera rock star, al massimo a metà degli anni novanta (Liberi liberi è dell’89 e Fronte del palco live era necessario…come vedi continuo ad abbuonarti Gli spari sopra, perché la scenografia palco/prigione ed elicottero, era tanto una tamarrata quanto estremamente strong…in realtà rosico perché non ti ho visto dal vivo). A dire il vero Stupido hotel mi era piaciuto un sacco…ma capisci bene…che era un’altra storia…Ovviamente sto banalizzando ma sta di fatto che non mi bastavi più nemmeno tu. Oltre a tutto il resto, a tutto quello che già mi era alieno e insopportabile, non riuscivo nemmeno a tenermi stretta quella valvola di sfogo che per anni aveva alleviato i miei dolori, fatto sfogare le mie lacrime e stringere i pugni per continuare ad arrancare. Non ti avevo rinnegato. Affatto. Buoni o cattivi, me lo sono fatto regalare perché ormai avevo le pezze al culo quando è uscito; l’eroina era il mio pane quotidiano e unica ragione che mi spingeva ad alzarmi dal letto, un letto che ricordo sempre sudato e freddo. Inverno ed estate. Sudato e freddo. Sempre. E credo di essermi persa il concerto. O forse non lo ricordo.
Poi più nulla. Il vuoto. Un limbo impronunciabile che non saprò mai descrivere davvero. Nonostante mi sforzi compulsivamente di farlo.
A ventisette anni sono entrata in comunità, era il 2007 per l’esattezza… e la storia, se hai letto il libro, la sai già. Ciò che non puoi sapere, perché non l’ho scritto, è che lì ho ritrovato (oltre agli altri sensi) anche l’udito, e quindi..ho ritrovato anche te! La musica e la lettura hanno saputo riempire le notti insonni e placato le ansie, sbloccando l’imaginazione e il viaggio mentale. Praticamente ho sostituito per un po’ l’eroina con i libri e le canzoni, almeno fino a quando non ho trovato anche con loro un rapporto più equilibrato.
Non ero l’unica che si era portata nella valigia i tuoi cd in mezzo al carico di speranza e a quattro abiti stracciati. Quindi durante le pulizie del venerdì, echeggiavi in tutta la vallata e a noi sembrava di fare meno fatica. La sera, in sottofondo, da qualche camera, si sentivano le tue canzoni. Sono ricordi che pacificano il cuore se ripenso alla scalata a cui forse nessuno di noi era davvero preparato.
Un giorno il mio operatore ci comunicò che saresti venuto a Genova per il concerto, al quale eravamo invitati, e nel pomeriggio in comunità a salutare i ragazzi e incontrare il Gallo. Era il 2008 e mia madre al compleanno, mi aveva regalato “il mondo che vorrei”, per la gioia di alcuni miei compagni di cascina che purtroppo non avevano nessuno che potesse avere un simile pensiero nei loro confronti. Dopo una settimana eravamo già sul pezzo, e sapevamo le canzoni a memoria, pronti per l’evento.
Io dissi ridendo: “dovevo farmi delle pere per incontrare Vasco Rossi!!”. Ho una foto di quel giorno, stampata su carta dal pc .. in bianco e nero; non si vedono quindi i miei capelli biondi ossigenati, ma il mio sorriso a cinquantadue denti appiccicato al tuo faccione dallo sguardo furbo, ce l’ho qui davanti, sottovetro, inchiodato alla parete del mio angolo di scrittrice per passione.
Mi autografasti il cd, che in comunità chissà poi dove è finito (tutto lì era di tutti, non c’era scampo), e io ti regalai una poesia trascritta di corsa su un pezzo di carta sgualcito durante il viaggio in furgone (…che chissà dove è finita pure quella… aahahha)
La sera concertone, e via…di nuovo senza voce. Come più di dieci anni prima. Sorrido. Stare due anni residente in comunità a san Benedetto, è stato a tratti complesso, ma..in due anni ho visto cose che gli umani….ho avuto il Gallo come maestro, ho incontrato te, ho zittito Giovanardi, ho recitato le mie poesie al teatro della Corte di Genova con Andrea, poi in altri teatri, e ho parlato davanti a centinaia di persone. Niente male per una tossica di merda…
Probabilmente tutto ciò che è accaduto, semplicemete..doveva accadere. E oggi mi ritrovo qui. Con un libro che ho scritto io tra le mani che parla della mia storia e dell’incontro con il Gallo, pubblicato da una casa editrice piuttosto importante, in uscita in libreria tra pochi giorni. Prefazione: Vasco Rossi.
Tutto torna. Forse il cerchio si chiude. Lo sfoglio con timore e leggerezza, poi guardo la copertina, e ancora non so se ci dredo. Forse ancora non realizzo.
E qui arriviamo al punto. Alla riflessione… per te (l’ho presa da lontano ma era necessario, forse manca ancora qualche preambolo e giuro che ci arrivo; del resto mi piace scrivere, chettelodicoaffare…).
Il 24 aprile sono salita a Milano da mio fratello con mia figlia di tre anni. Non riesco mai ad andarci perché lavoro sempre durante i fine settimana; ero in ferie, e ho deciso di passare tre giorni da lui, che destino vuole..abita vicino a dove abita Tania Sax.
Culo. Sono già preparata al fatto che la vita è ciclica e per compensare questo periodo fortunato, do per scontato che mi attenda già un altro periodo di merda pronto in agguato, ma in fondo, ne vale quasi sempre la pena. Quindi arrivo a Milano e dopo pranzo ci vediamo. Io e Tania. Programmino: parco, cani, giochini per bambini, birretta. Cosa volevo ancora da quella giornata!
Si chiacchiera del più e del meno e del libro, che lei sente ormai come fosse suo.
Durante questo pomeriggio spensierato e comunque anomalo, lei ti deve chiamare un paio di volte per una telefonata che avresti dovuto fare, e mi nomina Fini. E io le dico: “ma Fini chi…quello di Fegato fegato spappolato?!?” era ovvio..ma dovevo avere il tempo per realizzarlo. E già la cosa stava diventando più che anomala, anche se ho glissato. Poi però, quando camminando per strada c’era lei che parlava con te tra risate e battute su alcune racchie di non so quale situazione, la cosa è diventata davvero surreale. Per me naturalmente.
Iniziamo un discorso che parte da Fini e arriva a te che stai invecchiando; che lo state facendo insieme e in qualche modo non ve lo aspettavate, e che con il tempo ci si evolve, se si sa riconoscere la vita nei suoi percorsi. Si cambia, ma non ci si trasforma in qualcun altro. Parliamo del fatto che si apprezzano cose differenti, alcuni bisogni si modificano e in fondo, ogni passaggio della vita è una scoperta continua di nuove emozioni, commozioni che arrivano inaspettate e per poco, sensazioni da esplorare e vivere. Io dico che forse non eri preparato..Secondo me avevi sempre pensato di crepare prima, prima di doverti rasare i capelli perché erano troppo bianchi e troppo pochi, prima che il fiatone prendesse campo e i tour diventassero più brevi. Lo so, adesso sono stata pungente, ma poteva andare molto peggio conoscendomi...
Tania si è fatta una risata, ed ha annuito.
Poi mentre era al telefono con te la seconda volta, e stava per finire la conversazione, io ho accennato timidamente: “va beh..già che ci sei salutamelo..” ma era troppo tardi. Aveva quasi iniziato la frase ma avevi messo giù, e mi disse che intanto poi ti avrebbe dovuto risentire. Ecco. In quel momento ho provato imbarazzo, mi sono quasi vergognata, anche se mi rendo conto di non aver chiesto niente di che.
Ma era la prima volta, da quando conoscevo Tania, che mi permettevo uno slancio verso di te. Non le ho mai nemmeno chiesto di incontrarti. Solo una volta lei mi ha detto tra i discorsi: “..tanto Vasco poi lo conoscerai..”, ma io non ho risposto, e ho lasciato cadere la frase lì, tra il cellulare e il pavimento.
Quel saluto che avevo chiesto di farti, così..d’istinto (perché si sa che l’occasione fa l’uomo ladro..) mi ha fatto regredire all’improvviso a tredici anni, e io ne ho 35 adesso. Così in questi giorni ho riflettuto sul perché di quell’imbarazzo.
Non voglio incontrarti chiedendo se “posso”, semplicemente perché il mio interesse è ovvio mentre il tuo no. Quindi non voglio che Tania ti saluti al telefono da parte mia, o mi porti nel camerino prima di un concerto per l’autografo. Non ho più tredici anni, e la foto con autografo ce l’ho già. Lo chiedo a te, se hai voglia di fare due chiacchiere, perché io ne ho voglia.
E qui arriviamo finalmente al finale e al senso di tutta questa storia che ti ho raccontato; è l’una e dieci di notte e ho la sveglia alle sei, quindi ora devo trovare il modo di sintetizzare.
Quel discorso sull’età che avanza fatto con Tania, me lo sono poi portato a casa, e l’ho ricollegato al senso di vergogna e imbarazzo che avevo provato in quel tentativo timido di saluto.
Ho pensato che non ho mai chiesto a Tania in questi mesi se ti avrei incontrato perché ho capito solo adesso che avevo paura di incontrare forzatamente un Vasco Rossi che magari ha altro a cui pensare, magari scoglionato, e incontra la ragazza della comunità di don Gallo perché Tania gliela mette davanti e almeno per due minuti le deve parlare.
Non mi interessa. A tredici anni ti sarei saltata al collo e sarei tornata a casa a mezzo metro da terra con la maglietta autografata da VASCO ROSSI. La rock star.
Oggi ne ho trentacinque, sono madre, e la vita mi ha fatto crescere quasi per forza; mi ha fatto riflettere su cosa voglio e su cosa non voglio, su cosa mi serve e cosa no, su cosa mi interessa e cosa invece può essere superfluo; non voglio aggiungere cose alla mia esistenza che non abbiano un senso, perché la vita ne è già piena senza che te le vai a cercare.
Vorrei incontrare Vasco. Non la rock star. Io, non ti vedo più così. Per questo non mi serve l’autografo. Ti vedo oggi semplicemente come un uomo. Un uomo che ha avuto una vita straordinaria, e che continua a trasmettere emozioni alle persone attraverso le sue canzoni. Che ha una necessità e un’urgenza di scrivere che anch’io sento, perché dire ciò che si pensa al mondo fuori, è liberatorio. Un uomo determinato che non sapeva di esserlo, caparbio ostinato e sfacciato, dopo essere stato forse anche introverso e insicuro. Un uomo con le sue fragilità, le paure, l’ansia della morte…io ce l’ho ad esempio. Non la mia, quella degli altri. Ho paura delle cose che finiscono, ne ho il terrore, e a volte mi capita di immaginarle mentre terminano improvvise, e il cuore si spezza. Ti capita mai? Un uomo che in parte riconosco simile a me per molti aspetti, quando ti racconti ragazzo ad esempio. La tua voce mi è familiare perché, con il tempo, è diventata la colonna sonora della mia vita, dei miei intimismi incomprensibili, del mio spirito ribelle e anticonformista. Mi sembra allora di conoscerti. Quindi forse, un po’ mi conosci anche tu..mah..
Vorrei incontrare quell’uomo che nella prefazione riprende il mio discorso sulle diverse tipologie di comunità, e lo esalta, con forza e convinzione. E si schiera. Deciso. Vorrei incontrare l’uomo che invecchia, che è padre, che legge tanto e ama alcuni tra i miei autori classici preferiti e a cui piace la filosofia…che ho studiato con passione, e lo farei ancora, ma chissà..se li darò mai quei quattro esami del cazzo per laurearmi…
Quell’uomo che nell’ultimo libro, “la versione di Vasco”, emerge quasi ridondante e compulsivo riguardo al tema delle dipendenze, delle politiche sulla droga, dell’emarginazione del tossico, da sempre escluso, additato, giudicato e condannato da una società, che non sa perdonare e ascoltare l’assillante richiesta di una possibilità, qualunque essa sia.
Forse avremmo un po’ di cose da dirci, tra i naturali silenzi. Vorrei lo scambio, non pretendo l’attenzione. Non voglio niente da te a meno che io non riesca a lasciarti qualcosa. Ho già avuto la mia prefazione che rimarrà nei secoli dei secoli ai miei posteri, come esempio della mia caparbietà nel raggiungimento dei miei sogni. Può bastare, è già molto. Se non posso avere l’uomo e due discorsi interessanti, mi faccio bastare la rock star come è sempre stato e me la guardo a Torino sotto il palco, il 28 giugno..a una settimana dal mio matrimonio.
Ecco qua. Sono le 2:10 del mattino. Ho fatto di nuovo tardi a scrivere, ma scrivere di notte mi piace di più. Dormono tutti. Esisto solo io, e i miei pensieri.
So che ti piace leggere, Tania dice che leggi tutto quello che ti capita tra le mani. A prescindere dalla risposta che avrò o non avrò mai.…spero ti sia piaciuto! CIAO!
Viviana.

P.s. incontrai Vasco a Torino ad un mese circa da questa lettera che Tania gli fece arrivare. Parlammo un po', non volli fare una foto con lui e quando gli strinsi la mano invece di saltargli al collo ho avuto la sensazione che rimanesse spiazzato. Ho voluto incontrare la persona e da persona lo trattai. Quando si tirò su gli occhiali da sole per parlarmi, i suoi occhi mi congelarono. Ci vidi tanti occhi chiari incontrati per strada, ci vidi quasi imbarazzo. Conobbi un Vasco timido e sincero. Un uomo come tanti...un uomo fragile, diventato ANCHE rockstar.

 
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