14 Marzo 2014
Dannate Nuvole.
(Rock-Tear di Arcangelo Ark Tangorra)
Chiudi gli occhi e passeggi tra i resti di troppe “Dannate Nuvole”, che hanno lasciato i loro bordi sfocati lungo i margini della tua vita. E sono margini strappati, lacerati, mangiati dalla forza che ci hai voluto mettere, che ci hai messo, per poi scoprire che “niente dura”.
Vero.
Tocchi corde nostalgiche, rivivi fuochi spenti da tempo, ripercorri attimi che ti hanno portato qui, dove sei, dovunque tu sia, e ti ripeti che “niente dura”, sì, ma anche che “niente dura niente”.
Sfogliando il libro della tua esistenza, con Vasco in cuffia a farti da cicerone, può anche scendere una lacrima solitaria, e dispettosa, e indispettita da obiettivi mancati, magari sfiorati, e mai raggiunti. Attimi in cui, con le maniche rimboccate e il sudore che scendeva copioso, pensavi di aver raggiunto qualcosa, che poi si è sciolto tra le tue dita come neve al sole.
Oppure, avendo raggiunto qualcos’altro, ti sei ritrovato lo stesso come prima, a stringere un identico pugno di sabbia, perché “niente è vero, niente, e forse lo sai”.
L’introspezione è il gioco di prestigio che si cela in questo testo violento.
Violento perché ti sbatte in faccia te stesso, il tuo percorso e i tuoi risultati.
È cucito sulla pelle di ognuno, con un lavoro di sartoria dell’anima che riesce solo ai grandi artisti, quelli immortali, quelli che dipingono uno stato che resta uguale sempre, per chiunque, nel tempo.
Ogni volta che ti trovi davanti Vasco, ogni volta che ti trovi davanti la sua musica, ogni volta che ti trovi davanti l’Uomo, non hai nessuna possibilità di sfuggire al tuo destino interiore. Sia che si tratti di rabbia, sia che si tratti di ironia, sia che si tratti di pura sofferenza intimista, ti prende la mano e ti scaraventa addosso te stesso, con quella amara carezza che solo “da dentro a dentro” resta praticabile.
Tempesta emotiva.
Io lo so.
E tu lo sai.
“Però… Non ti ci abitui mai”.
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