Conosco Vasco da quaranta anni, direi di essere uno dei suoi amici “stranieri” più vecchi, intendendo “straniero” perché sono bolognese e dunque estraneo al piccolo borgo natio, e felice, di Zocca.
E dunque, seppure sia vero che ho ovviamente vissuto, come tutti d’altronde, (sarebbe potuto essere altrimenti?) il fascino estremo dell’avvenimento epocale di Modena, per me personalmente l’avvenimento “epocale” è stato un altro.
Il sabato successivo al concerto, infatti, sono stato ammesso, unico “straniero” con mia moglie, alla cena “intima” in quel di Zocca, tra i compagni di adolescenza e di una vita del Blasco.
La sua reale, minima “combriccola” di sempre, trenta persone, all’incirca, tra uomini e donne , tutti, nessuno escluso, parti fondamentali dell’esistenza di Vasco.
C’era una vera e sincera anima popolare “colta”, dove si mescolavano psichiatri, letterati, ex ministri della Repubblica, insegnanti, filosofi, anche solo di vita: e tutti gli altri, ognuno diverso, ognuno a rincorrere i suoi guai, ognuno perso per i cazzi suoi….
Incredibile, ci sono ancora posti, piccole “enclaves” di nicchia dove cultura, intelligenza, simpatia, umanità, semplicità riescono a coniugarsi felicemente tra loro…
Questo è il mondo di Vasco.
E, credo, che da qui bisogna partire per “interpretarlo”.
Ogni volta mi sorprende l’approccio del timido Rossi all’universo che lo circonda.
Siano folle oceaniche, siano i sodali di sempre, in lui c’è sempre una vaga sensazione di stupore: ma come, sono io, proprio io ?, quello che aspettano cercano, vogliono, trovano?
Modena mi ha persuaso nella perfetta biunivocità simpatetica di quello che dico.
Infatti, se da una parte, per 230000 (!) persone, lo spettacolo. l’attesa, l’emozione era Vasco, simmetricamente lo spettacolo, l’attesa, l’ansia, l’emozione, per lo stesso Vasco, era la folla oceanica dall’alto dell’elicottero, le tante anime in cerca di lui e in complicità con lui!
E Rossi, incredulo e stupito.
Come in un quadro di Magritte, o come nel gioco degli specchi di un altro grande poeta italiano (Paolo Conte, “rebus”) chi guarda è guardato, e viceversa….
Rossi “non se la tira”, semplicemente vede il mondo con la meraviglia del fanciulllino di pascoliana memoria, e in questo suo magico e incantato approccio si riconoscono centinaia di migliaia di suoi fans: la notorietà non ha intaccato tutto questo, e il pubblico, attento, glielo riconosce.
Sono io, Vasco, il primo, a essere stupito che voi mi amiate…
In questi giorni, sono stato interessato molto alla decodificazione di Rossi, non tanto come “rockstar”, ma sopratutto come “rockautore”.
Molti suoi testi sono interpreti di una malinconia diffusa/soffusa, spesso riletta in chiave ironica o autoironica, raramente disperata.
Senza timore di arditi confronti, d’altronde la cultura si deve permettere anche “spericolati” randez vous, si è parlato spesso dl Leopardi.
Un filo, e forse più di un filo di raccordo, c’è.
Ho potuto leggere di recente un breve articolo della Prof.ssa Lotti, colta letterata e musicista.
Le sue osservazioni sono molto acute.
Se nel “sabato del villaggio” Leopardi delinea l’ansia e la delusione provocate da un’attesa che inesorabilmente non si realizza, e quindi lo sguardo è tutto rivolto alla triste “fine della strada”, in “una splendida giornata” Rossi ha la stessa malinconia di fondo, ma segue un altro “modo” di cammino e percorso.
Infatti, per sopravvivere bisogna allontanare lo sguardo dalla fine della strada (il giorno dopo) per soffermarsi solo sul terreno che si calpesta, prendere la vita per quello che offre in un fugace e precario presente: “non importa se la giornata è finita , ciò che conta è che sia stata una splendida giornata, sempre con il sole in faccia sino a sera, perché la sera di nuovo sarà”….
Insomma, la felicità non è di questo mondo, ma almeno cogli l’attimo, certamente fuggente.
Con Orazio, limitati al “carpe diem”….
E’ paradossale, ma il lettore/l’ascoltatore/il visitatore sembrano riconoscere, direi a occhi chiusi, nella sincerità delle anime “fragili”, i loro amici “fragili”, penso anche a De Andrè, a cui affettivamente legarsi con assoluta fiducia.
Questo, Vasco, io almeno penso di te."
Guido Magnisi